Nella terminologia audiofila si parla ogni giorno di musica liquida.
Un’ espressione indicante quel fenomeno di smaterializzazione della musica, che diventa indipendente da qualsiasi supporto. Intendo la musica liquida come quel fenomeno di musica dozzinale che si consuma nell’atto stesso dell’ascolto. Mi procuro tante di canzoni, effettuo uno zapping sonoro, poi le lascio nel dimenticatoio o le cancello.
Nel mio immaginario vedo la musica liquida come un drenaggio veloce, che non lascia traccia. Vedo hard disc, memory card, usb key, vasi pieni di sassi camuffati da memorie di massa, che apparentemente trattengono il potenziale flusso sonoro. In realtà lo nascondono aggiungendone sempre di più.
Chi non ricorda quando cercavamo il nostro “pezzo” preferito nelle audiocassette ? La necessità di riavvolgere ogni volta il nastro per riascoltarlo, i nastri consumati dall’uso ripetuto, sentiti centinaia di volte, sovente registrati male. Ogni volta, ad ogni ascolto, si faceva spazio nella nostra memoria un ricordo, associato per sempre a questo o a quel brano. Quanti dischi oggi lasciano il segno? Quanti singoli, quanti album? E’ ancora opportuno parlare di dischi e discografia? Quanto di nuovo rimane veramente impresso nella memoria, emotivamente ricordato?
Intanto non esiste più il concetto di album. Editori, produttori e musicisti si sono adagiati su una nuova scia. Esiste una canzone portante che traina il resto. Il resto è rumore Ecco perché l’invenzione dell’iPod, geniale e moderna evoluzione dello walkman, ha trasformato il nostro concetto di compilation, personalizzandola e rendendo la nostra discografia portatile e tascabile. A scapito però dell’ascolto che non è più inteso come un mezzo per raggiungere un fine, ma è il fine ultimo dell’uso e consumo di musica. Pochi ascoltano con piacere. Molti non lasciano neppure finire la canzone preferita che passano ad un altra. Si usa e si getta. Esistono vari portali di musica dedicati. Comodi, economici, accessibili a tutti. Paghi il singolo brano, oppure paghi una ridicola quota mensile per non ricevere pubblicità, oppure non paghi niente e subisci la pubblicità. Nessuno è più disposto a spendere cifre esose per un cd, un pezzo di plastica freddo e senz’anima, che contiene 1\2\3 brani ascoltabili. Si preferisce acquistare il singolo preferito,perché è solo quello che interessa ascoltare, su iTunes a 99 centesimi. Oppure comprare un cd dal rivenditore abusivo di turno a 5 euro. Altri ancora, i più moderni, si registrano su Spotify, Rdio o Deezer (gratuitamente o pagando un piccolo abbonamento per non subire la pubblicità), portali dove non occorre fare più alcun download e si accede in streaming a tutti i brani preferiti.
Personalmente trascorro molte ore a ricercare, ascoltare, selezionare, catalogare, mettendo note e commenti per aiutare la memoria a ricordare e riconoscere quel brano piuttosto che quell’altro. Talvolta perdendo la cognizione del concetto estetico di bellezza.
La discografia è in crisi, tanto che le major si sono consorziate per contrastare e combattere la pirateria, ma al contrario di quello che si vuole far credere, la produzione di musica (e con essa le label indipendenti) è aumentata a dismisura.
Gli home studio recording si sono moltiplicati in modo virale ed anche chi non ha o non aveva alcuna cognizione di musica, la produce o cerca di farlo con l’aiuto di software e hardware dedicati. Per questo motivo siamo invasi da produzioni di musica di poco valore.
Il controllo dell’ascolto si è perso con il disco. Con la fine del supporto vinilico produrre musica è diventato estremamente economico, accessibile alla massa. Ogni tanto mi perdo pure io, che con la musica ci vivo e ci lavoro. Mi capita sempre più spesso di dovermi fermare, resettare la mente, e ritornare dopo un po’ ad ascoltare di nuovo. Alcuni la chiamano musica liquida, io la chiamo la musica usa e getta.
La quantità solitamente è a scapito della qualità. E’ vero anche in questo caso.
Marco Solforetti