Se John Lennon entrasse oggi a Abbey Road rimarrebbe incredibilmente sbalordito dalla visione statica di un suono.
Osserverebbe basito l’onda sonora che scorre dentro un monitor. Una forma d’onda che viene processata, intonata, tagliata, allungata, effettata, editata, masterizzata.
La musica elettronica in fase di componimento non si ascolta più, si guarda.
Sembra un paradosso ma è così. Tutto il processo produttivo passa dentro uno schermo. E si perde di vista, anzi si perde d’udito, la funzione primaria della musica, l’ascolto.
La percezione gioca strani scherzi. Nella fase della produzione di groove, di suoni, di stesure ritmiche, il solo interagire guardando un monitor, aspettando l’entrata di una nuova scena sonora, influenza, distrae, devia la nostra prospettiva uditiva.
Quando ascoltiamo un’orchestra, una band e soffermiamo l’attenzione di volta in volta sui singoli strumenti, notiamo che accade un fenomeno curioso. In un primo momento prevale l’esecuzione nella sua interezza. Dopodiché, soffermandoci sui singoli strumenti, ci accorgiamo che la variazione di attenzione ci porta a fruire di “n” brani distinti, oltre a quello di partenza, caratterizzanti ogni specifico strumento.
L’ascolto assoluto non esiste. E’ costantemente influenzato da variabili emotive, fisiche, motivazionali.
Anche la qualità sonora cambia l’ascolto. La qualità di un brano diffuso direttamente dall’altoparlante del laptop è completamente diversa da quella di un impianto hi-fi. Manca l’intera gamma delle frequenze basse, c’è una forte distorsione, la dinamica è limitata. Come nel caso precedente la canzone risulta completamente differente.
In tutto il contesto internazionale, la composizione attuale di musica elettronica si sviluppa grazie all’iterazione di hardware e software installati su computer.
Logic, Pro Tools, Cubase, Ableton sono le aziende protagoniste. Visivamente, la successione verticale delle singole tracce genera il mix della la traccia finale. In alcuni casi fortunati si finalizza in un brano o canzone, in altri diventa materiale da cestinare.
Immaginiamo di guardare una traccia audio (non esiste altro termine per descriverla) che scorre sul sequencer. Come possiamo essere obiettivi su quello che stiamo ascoltando? Come possiamo non essere influenzati da quello che stiamo vedendo? Spesso si commette questo errore, enorme, di non soffermarsi più ad ascoltare. Si dovrebbe oscurare lo schermo tralasciando la vista.
La discografia è in crisi ma la produzione di musica è aumentata a dismisura.
Come è possibile? Ci sono ogni giorno nuove etichette discografiche musicalmente effimere, che nascono e muoiono come farfalle. Nuove centinaia di “tracce audio” da ascoltare nella jungla della rete, sui vari portali di musica dedicati, la maggior parte autoprodotte, sovente di scarso valore.
Siamo invasi da musica dozzinale di scarso valore.
Scarso valore tecnico, emozionale e di pessima qualità audio. Non che tutto sia mediocre, questo no, sarebbe un pensiero riduttivo. La realtà è che risulta difficile orientarsi in questo oceano di mediocrità.
Si predilige l’estetica delle forme a scapito dei contenuti.
Oggi possiamo tutti sperimentare nuove forme e nuovi contenuti sonori. L’accessibilità alla creazione di suoni non è più elitaria. Non serve più un mega studio di registrazione.
Non serve più essere musicisti, conoscere la teoria ed il solfeggio, maneggiare con estro e tecnica uno strumento, avere un budget esoso da investire. Da una parte è un bene perché facilità l’accesso a chi vuole coltivare una passione; dall’altro è un male perché si perde il controllo della qualità a scapito della quantità. Soprattutto a causa di chi, da una semplice passione, ne vuol fare un uso egotico e professionale senza averne i requisiti.
E’ stato così anche per le fotografie. Come mi diceva Massimiliano Favilli, un creativo della fotografia fra i miei preferiti:
“Lo scatto di una fotografia è diventato un gesto consumistico, un automatismo. Si fanno decine di scatti uno di seguito all’altro, tanto poi si cancellano; è normale che poi arrivi uno scatto buono. Ma come è stato fatto? Lo sappiamo fare di nuovo? Se vuoi imparare davvero a fare le fotografie, compra una macchina fotografica usa e getta ed inizia con quella a capire i meccanismi che regolano lo scatto. Presterai molta più attenzione perché devi stamparle, spendendo tempo e denaro”.
Nel caso della musica elettronica siamo diventati un po’ tutti schiavi di questa tecnologia, che non lascia più lo spazio ad un ascolto critico, lontano dagli schemi mentali superficiali che spesso ci costruiamo con la musica liquida o peggio ancora con rumore mascherato da suoni.
E’ inevitabile che la tecnologia sia diventata parte essenziale del nostro quotidiano e che non possiamo più farne a meno. Ma deve essere un mezzo per raggiungere un fine, uno strumento fra gli strumenti a disposizione dei nostri sensi per raggiungere e trasmettere emozioni. Va usata con logica e buon senso. Altrimenti diventa un altro modo per aggiungere quotidianamente caos al caos.
Vediamo continuamente persone che vanno ad un concerto e passano tutto il tempo a fare foto e video; altre che fruiscono della musica su youtube guardandola, ma questo non è ascoltare…perché l’ascolto è una cosa seria.
Marco Solforetti
Questo articolo è stato tratto dalla rubrica Curiosuoni di Graffio Magazine: