Nel precedente articolo abbiamo visto la compilation come strumento di sound branding. In un momento dove il supporto fisico tende a scomparire, il packaging e la possibilità di toccare con mano creano un valore emozionale forte per evocare ricordi e favorire suggestioni.
Tuttavia, questo tipo di strumento di marketing ha dei costi fissi e variabili che non sempre possono essere coperti. Tali costi riguardano il glass master, i bollini siae, le spese iniziali per l’apertura della stampa, le licenze per la musica da inserire nel cd, stampa e masterizzazione. Costi che vengono ammortizzati in funzione del numero di copie.
Prendendo spunto da quest’altro articolo, scritto a Novembre, è possibile ripercorrere una sintesi di ciò che è successo negli ultimi 10 anni riguardo all’offerta musicale e ai percorsi alternativi di ascolto. Un periodo relativamente breve ma che comprende alcuni passaggi chiave per capire quello che mercato e tecnologia hanno sviluppato da quando la velocità dello scambio di dati nella rete ha raggiunto standard elevati. Il mercato si è evoluto, e lo sta facendo tutt’ora, verso una direzione precisa: l’offerta di musica liquida.
Spotify, Deezer, Rdio…offrono 20 milioni di brani da ascoltare gratuitamente, in cambio di alcuni passaggi pubblicitari. Oppure pagando un abbonamento mensile di 9,90 euro, si toglie l’intrusione della pubblicità e si aumenta la qualità del segnale per un ascolto migliore.
Per l’utente finale è una svolta. In qualsiasi momento può ascoltare e riascoltare nuovi e vecchi brani senza mai effettuare il download di una sola canzone. Significa, in termini di spazio, l’abbandono non solo del cd, ma anche di tutte le memorie di archiviazione, come hard disc e usb key. Si elimina in un colpo solo la possibilità che qualche brano venga dimenticato in quel pc piuttosto che in quel telefono. Sento alla radio una canzone nuova, la faccio riconoscere da shazam e 1 minuto dopo la salvo in una playlist. Oppure seguo l’artista. Inoltre, il sistema consiglia di ascoltare artisti simili e mette a disposizione tutti gli album dell’artista e le compilation dove quel dato artista è presente.
E per l’ azienda ci possono essere dei vantaggi?
Certamente, molti vantaggi. Si aprono nuove prospettive verso chi, nella la musica, vede uno strumento di marketing importante: l’account diventa il brand e la playlist diventa oggetto di condivisione.
E’ uno strumento di sound branding veloce ed estremamente potente. A patto che sia identificabile e visto come una reale possibilità per aggiungere valore. Altrimenti diventa inutile.
Attualmente sto portando avanti una fase di sperimentazione (utilizzando Spotify) con due brand prestigiosi: un test riguarda il settore alberghiero di lusso e l’altro il settore dell’abbigliamento. Due test importanti che verranno ufficialmente pubblicati e pubblicizzati non appena ci saranno tutti i presupposti per una buona comunicazione. Perché è di questo che si parla. Comunicare con la musica. Emozionare con i suoni laddove il valore emozionale è forte.
Abercrombie & Fitch, Mc Donalds, Nike, Coca Cola, Starbucks…sono solo alcuni dei brand che ogni anno investono qualche milione di euro sulla musica.
Oggi è possibile investire cifre ridicole rispetto a quelle spese da questi colossi, che sono proporzionate naturalmente al numero di persone che si vuole raggiungere. La playlist diventa un souvenir emozionale, un ricordo, un messaggio da lasciare all’ospite o al cliente, per fargli sapere che esistiamo anche al di fuori del punto vendita o della struttura ospitante.
Nel caso di un hotel, il nostro ospite può sentire un estratto della musica che lo ha accompagnato durante la sua permanenza, favorendogli il ricordo di quell’esperienza. Potrà ascoltare quella “playlist compilation” in ogni luogo, in ogni momento e condividerla con le persone più care, che a loro volta potranno fare lo stesso. Il tutto con investimenti che, non avendo più bisogno di stampa, licenze e packaging, si ridurranno moltissimo.
Lo stesso discorso vale per il secondo test con il marchio di abbigliamento. Il cliente esce dal negozio e, se è rimasto soddisfatto del servizio, dell’oggetto e dell’esperienza nella sua interezza (si parla di brand experience), avrà la possibilità di rievocare quell’esperienza ascoltando la playlist sapientemente e accuratamente dedicata.
Ecco che nasce l’esigenza di avere un professionista che conosca bene i valori che il brand vuole trasmettere, che li traduca nel linguaggio dei suoni e che con tale linguaggio riesca a comunicare e dialogare con vecchi, nuovi o comunque potenziali ospiti e clienti.
Marco Solforetti