Non potevo scegliere un momento migliore per iniziare questa rubrica. Come per ogni viaggio che finisce, anche per ogni lavoro importante che si porta a termine è giusto fare delle considerazioni. Ho trascorso per la prima volta due giorni intensi sotto clima festival del cinema di Venezia71.
Emozione, responsabilità, soddisfazione sono i tre sostantivi che sintetizzano in modo laconico quello che è successo.
La formazione ufficiale era in stile tipicamente offensivo e sbilanciata in attacco: Leo Tolu e Marco Solforetti alla regia musicale, Nicolas con la macchina da presa e fotocamera parlante, Paolo l’importatore svizzero di vodka siberiana. Atmosfera caldissima, gruppo unito, alto livello di professionalità.
Il nostro mentore Ale Berna l’aveva detto che si potevano ottenere ottimi risultati. Perché la libertà nelle collaborazioni professionali è fondamentale, costruttiva; ti permette di ideare un progetto, di pianificarlo, di portarlo avanti insieme con la massima fiducia. Ognuno con il proprio ruolo e con le proprie competenze. Si lavora bene, senza fiato sul collo. Alla fine con risultati importanti. In questo caso eccellenti.
E quando un artista come Alexandre Desplat, sei volte candidato all’Oscar per la migliore colonna sonora, vincitore di Golden Globe, Grammy Award, Orso d’Argento, considerato il nuovo genio della musica da film dalla critica, arriva a fare i complimenti, capisci che è stato fatto davvero un ottimo lavoro. Non sono quei complimenti di circostanza. Sono artisti che non concedono strette di mano gratuite, che non concedono una seconda possibilità.
La vista di Venezia dalla terrazza dell’Hotel Danieli è qualcosa di meraviglioso. Come la vista di Firenze da piazzale Michelangelo. Cartoline vere, reali, con la massima definizione possibile, quella dei nostri occhi. Visioni suggestive che ci portano avanti e indietro nel tempo, perché non ci sono riferimenti cronologici. Erano e saranno così per molti anni ancora. Cartoline reali senza tempo.
E quando sullo sfondo di questa visione ti appare lui, il genio, non sai se sta venendo per dire “come vi permettete di smontare le mie composizioni in questo modo”, o se invece viene per dire “complimenti ragazzi, ottimo lavoro, mandatemi una copia, la voglio”.
Sono momenti di tensione, di ansia, che mutano in sollievo, soddisfazione, si trasformano nel compiacimento reciproco. L’impegno, l’attenzione e soprattutto il rispetto verso le creature di Desplat hanno contribuito alla riuscita del lavoro. In effetti era veramente difficile operare sulla sua musica. Perché quando siamo di fronte ad opere d’arte, si corre il rischio di rovinarle.
Il re-editing audio dei suoi film era il mood caratterizzante la serata. Come il menù e l’ambientazione. Ma la musica è più forte, è più diretta, arriva prima ai nostri sensi. E’ stata un’operazione elegante di re-edit. Un detournement certosino di cut and copy, con l’aggiunta di alcuni elementi ritmici soffusi. Lui è arrivato durante l’ascolto di Philomena. Era l’esperimento più difficile. L’intero film smontato e rimontato su basi deep, techno, break, funk per chiudere. Ci tenevamo molto in un suo consenso, ma le sue parole e la sua espressione mentre le pronunciava sono state più di un semplice consenso. Sono soddisfazioni. Questo è ciò che ha scritto il Mattino di Padova, all’indomani dell’inaugurazione:
“Nella splendida terrazza dell’hotel Danieli è andato in scena ieri sera il party privato e molto esclusivo, organizzato dai quattro alberghi Starwood di Venezia, in collaborazione con la prestigiosa rivista americana Variety. Ospite d’onore il musicista francese Alexandre Desplat, presidente della Giuria di Venezia71 e compositore di colonne sonore, tra cui quella di “Grand Hotel Budapest”:proprio in omaggio al film di Wes Anderson è stata trasformata la terrazza del Danieli. Dalla particolare presentazione del cibo alla preparazione dei cocktail fino all’allestimento, tutto richiamava il film di Anderson. E come colonna sonora, le musiche scritte da Desplat, remixate dai dj Marco Solforetti e Leo Tolu“.
Che dire, non si finisce mai di entusiasmarsi. Di emozionarsi come dei bambini. Non ancora per fortuna.
Marco Solforetti