Quando alcuni anni fa mi chiedevano che lavoro facessi, e rispondevo il disc jockey, mi sentivo spesso replicare: si, ok, ma oltre quello che lavoro fai? Nell’ immaginario collettivo non era visto come un lavoro. Agli occhi delle nuove generazioni faceva scena, era figo; tuttavia, nel mondo del lavoro, quello tradizionale, etichettato come “serio”, pronunciare questo termine portava svantaggi e pregiudizi.
In questi anni molte cose sono cambiate. Il fatto che il dj lo si può trovare ad un aperitivo, ad una mostra d’arte, ad un matrimonio, in vetrina di un negozio, ha colmato questo gap generazionale.
D’altro canto, è anche vero che il dj si è evoluto. Molti gruppi si completano con l’inserimento di un dj nel proprio organico. A differenza di molti musicisti, padroni di uno strumento ma legati staticamente alla tradizione, allo stile dello strumento stesso, il dj, quello vero, ascolta continuamente nuove e vecchie canzoni. E’ sempre aperto alle contaminazioni, alle nuove tendenze. Quotidianamente si aggiorna sulle nuove tendenze, ricerca nuovi suoni, nuovi ritmi e nuovi stili.
Quando invece si parla del sound designer, mi accorgo che ancor oggi, questo termine emana una sorta di misteriosità. Si intuisce che cosa significhi ma non se ne comprendono ancora le sfumature e le potenzialità. La figura del sound designer, (come quella del dj del resto), ha ampliato le proprie competenze, evolvendosi, ricoprendo ruoli diversi. All’inizio ideatore principalmente di composizioni “ad hoc”, di effetti sonori (cinematografici, televisivi e teatrali), ad oggi il sound designer è colui che unisce le conoscenze di un vasto repertorio musicale a quelle del gusto e del marketing emozionale. Gli competono incarichi importanti come la ricerca, selezione e sonorizzazione di ambienti, la creazione di colonne sonore, jingle pubblicitari, effetti musicali.
Ai fini della consulenza, finalizzata all’uso professionale della musica, chi dobbiamo interpellare? Di chi ci dobbiamo fidare? Spesso ci troviamo di fronte a venditori di fumo, millantatori che promettono risultati immediati e impossibili, spacciatori di qualche formula magica per incrementare le vendite. Per prima cosa è giusto sapere che i risultati che si ottengono con la musica ed i vantaggi che questa porta all’azienda non sono facilmente quantificabili. La giusta musica crea un valore aggiunto ad un brand, ad un prodotto, ad un servizio; inoltre migliora la permanenza e favorisce il ritorno di ospiti e clienti. La figura professionale che si cerca deve avere delle competenze eterogenee, essere aggiornata sulle nuove tendenze, riuscire a dipingere con i suoni l’ambiente, costruire un abito sonoro su misura addosso al brand. Non ci scordiamo che i suoni, in questi casi, investono direttamente i canali emozionali. Stiamo parlando di comunicazione e di marketing emozionale. Costruire un mood su misura è un compito che richiede, oltre l’ingegno, competenze maturate con l’esperienza. Un compito che si articola in step differenti e si adatta continuamente, ed in modo flessibile, ai cambiamenti strutturali della musica e del target di riferimento.
Quale è l’obiettivo? Diffondere musica d’ambiente o ideare il suono di un brand ? Premesso che la prima dovrebbe essere sempre conseguenza della seconda, diffondiamo la musica d’ambiente concentrandoci su una ascolto attivo o passivo? (vedere gli articoli sull’utilizzo di musica conosciuta e sconosciuta).
In definitiva, il mio consiglio è sempre quello di verificare l’esperienza, valutando ogni volta le competenze necessarie per soddisfare le necessità aziendali. Chiedendo magari un test, oppure un periodo limitato di prova, durante il quale si verifica un determinato servizio ed i vantaggi che questo porta. Come ho scritto in precedenza, quando si decide di utilizzare la musica non possiamo sbagliare, perché questa ha un accesso diretto e privilegiato ai nostri sensi. Un utilizzo errato può portare dei grossi danni nel breve e nel lungo periodo.
Marco Solforetti
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