Nell’era della musica liquida, diventata ormai indipendente dai supporti, è difficile parlare di dischi, discografie e disc jockey.
Oggi che viene a mancare il “disco”, che per tanti anni aveva affascinato le generazioni di tutto il mondo, viene a mancare lo strumento caratterizzante, che aveva dato un nome alla categoria ed un’identità al tanto discusso jockey.
Final Scratch e Beatport hanno creato nel mondo professionale dei dj una rivoluzione paragonabile all’invenzione del fonografo e del binomio iPod-iTunes.
Oggi con 1 Usb Key e un paio di cuffie, il di può fare un tour mondiale senza mai suonare lo stesso disco.
Ho avuto la fortuna di vivere questo ventennio di cambiamento epocale che mi ha investito “tout court”, professionalmente e nella quotidianità. Ho letto alcuni libri in proposito, cercando di conoscere e capire i punti di vista differenti dai miei. Alcuni autori sono nostalgici, altri euforici…una diatriba ancora aperta fra analogico e digitale che difficilmente troverà punti d’incontro comuni.
Personalmente mi interessa solo parlare del periodo storico, raccontandolo con degli aneddoti. Pezzi di storia vissuta da chi, come me, ne è stato partecipe e coinvolto.
Il fatto di essere stato irrimediabilmente incosciente per un lungo periodo, mi aveva tenuto lontano dalla moto. “Il motorino basta e avanza”, diceva mio padre. Oltretutto ero stato di nuovo rimandato a latino, un motivo in più per rifiutare la mia richiesta quotidiana, insistente, sfiancante della moto. Finché un giorno decise di darmi un’alternativa facendomi una proposta musicale.
Entrammo in casa il giorno dopo con 2 giradischi Technics 1210, altoparlanti Bose acoustimass 5, amplificatore Technics, cuffie Sony, cavi e cavetti…venendo subito a conoscenza della spesa mia madre rischiò lo svenimento. Io invece ero estremamente euforico. Avevo finalmente una consolle professionale e 1000 dischi da scoprire appena comprati ad un’asta comunale.
Sempre in quel periodo iniziai a frequentare il Tartana, club storico di Follonica, unico locale “di tendenza” della costa Tirrenica. Rimasi affascinato dalla musica di Francesco Farfa e dalla tecnica con la quale mixava. Da dove proveniva quella musica? Quante ore erano necessarie per acquisire quella tecnica?
Nacquero immediatamente due problemi.Il primo riguardante la tecnica, risolvibile forse, con molte ore di allenamento. Il secondo relativo alla musica. Ero ignaro della provenienza di quella musica. In quegli anni reperire la musica era alquanto difficile e dispendioso. I negozi specializzati nella vendita di mix 12” più vicini erano a Firenze, Riccione, Roma o Genova; non avevo ancora la patente e la paghetta settimanale non era sufficiente a comprare anche i dischi.
Ringrazio ancora Carlino per averci sempre portato con sé, insegnandoci in seguito la tecnica ed i trucchi della consolle. Partivamo ogni tanto, solitamente una volta al mese. Le settimane che precedevano questa uscita erano settimane dure, passate a risparmiare, piene di sacrifici. Mi ricordo ancora l’eccitazione del ritorno, l’attesa di arrivare a casa, accendere la consolle, poggiare la puntina sui quei vinili nuovi, faticosamente comprati.
Ecco nel giro di pochi mesi l’acquisto della prima valigia. Erano valige rigide, pesanti, spigolose; se non correttamente trasportate, lasciavano i lividi sulle gambe. Conoscevamo tutto delle nostre valige. Tutto di quei dischi, solco dopo solco, versione dopo versione.
Noi i dischi li leggevamo come dei libri.
I dj della mia generazione erano gelosissimi dei propri vinili. Li maneggiavamo con cura. Erano il nostro canale comunicativo, il nostro biglietto da visita, il nostro ego. Un modo per trasmettere emozioni, per far divertire, per distinguersi l’uno dall’altro. La scelta di comprare un disco anziché un altro spesso era fonte di frustrazione. Proprio perché il costo era elevato non c’era la possibilità di comprare tutto. Al contrario. A volte c’era solamente una copia di quel titolo e la ristampa non era prevista e questo fatto scatenava un vero malcontento dal “discaio“. A volte c’era una vera e propria caccia al “mix“, una lotta per riuscire a trovare questa o quella novità sentita alla radio o sbirciata sui giradischi di qualche dj. Trovare i dischi era difficile e costavano molto. A volte 40mila lire costava un doppio mix, per poi utilizzare una sola versione…lo compro o lo lascio qui? Per questi motivi la valigia era personale, morbosamente custodita e coccolata.
E poi c’erano le ore trascorse in casa a provare i mixaggi, circondati dal malcontento di qualche genitore o peggio ancora dall’odio dei vicini. Le ritmiche, le armoniche, la velocità. Personalmente non ho mai preparato la “scaletta” della serata ma avevo la valigia suddivisa a zone, cosciente che alcuni pezzi si potevano mixare solamente in alcuni modi, e che questo era possibile solo dopo averli provati svariate volte a casa. Questo metodo mi permetteva di avere una certa sicurezza, aiutato anche e soprattutto dalla memoria visiva delle copertine che associavo al ricordo dei suoni.
Poi è arrivato il cd. La digitalizzazione del suono ha aperto la strada alla smaterializzazione del medesimo, cancellando piano piano l’importanza del supporto e del fascino aureo che questo si portava dietro.
Il passaggio dal vinile al cd nel nostro settore non è stato così rapido come nell’ambiente dell’intrattenimento e del tempo libero.
Ci sono voluti alcuni anni prima che la Pioneer entrasse nel mercato con un prodotto di prezzo accessibile e soprattutto prima che si potesse acquistare la musica dance ed elettronica da masterizzare sui cd.
Il passaggio è stato graduale. I masterizzatori sono entrati nelle case, il costo dei cd vergini si è abbassato, la Pioneer, leader del mercato dopo il dominio ventennale della Technics, ha commercializzato il cdj100, la Stanton ha inventato Final Scratch. Un processo graduale, inarrestabile che non lascia spazio all’obsolescenza. E’ la tecnologia che sposa le esigenze dei consumatori, ne amplifica i bisogni, ne inventa di nuovi.
Dopo l’arrivo dei nuovi modelli cd il settore del djing cambia ancora forma con Final Scratch. Si tratta di una di quelle invenzioni geniali, che nessun dj mai si sarebbe aspettato, che non si capisce bene come funziona, ma che alla fine poco importa.
Due signori di nome Richie Hawtin e John Acquaviva fanno quello che farà Steve Jobs con l’ipod e iTunes. Due visionari che immaginano e concretizzano scenari futuristici con la musica liquida. Prima con Final Scratch, poi con Beatport.
Final Scratch, evoluto in seguito in Traktor Scratch, nasce nel 2002 dalla collaborazione di Stanton e Native Instruments. E’ l’evoluzione di un primo prototipo funzionante di DVS (Digital Vinyl System) del 1998. Un sistema che funziona a partire da un vinile speciale, detto vinile di controllo, sul quale non è impresso alcun segnale audio, bensì la versione analogica di un codice, detto timecode. Il giradischi riproducendo il timecode invia il segnale ad un hardware apposito, dialoga con il computer e viene utilizzato dal software che permetterà la scelta dei file audio da riprodurre. Sembra di maneggiare un vinile in tutto e per tutto, ma non è dal vinile che proviene il suono bensì dal computer.
E’ inizialmente un romantico attaccamento nei confronti del vinile come supporto fisico.
L’incredibile successo dell’odierno Traktor è la flessibilità di utilizzo, la possibilità di suddivisione della musica in generi e sottogeneri, playlist organizzate ad albero con la possibilità di inserire commenti, copertine, tonalità e votazione. La possibilità di utilizzarlo con i vinili, con i cd, con i controller dedicati e non. Ne ho seguito tutto il cambiamento, abbracciandone tutte le comodità. Spendo meno, duro meno fatica quando viaggio, posso ascoltarmi la musica e preparare una serata in treno oppure in aereo.
Beatport è l’ultimo tassello che ricompone il mosaico dello scenario attuale. Una vera e propria rivoluzione digitale nel downloading professionale dedicato alla musica dance\elettronica. Nel giro di pochi anni cambiano tutti i paradigmi di ascolto e di accesso all’ascolto. Il costo di ogni track oscilla fra 1,50 e 2,50 euro, ben lontani dai 15\30 euro a disco.A volte mi perdo nel selezionare la musica per una serata, mi scordo di qualche perla nascosta nell’archivio e difficilmente mi innamoro di un disco nuovo. Di musica ce n’è tanta, troppa, al contrario di quello che si dice con la discografia in crisi, ce n’è molta più di prima…la quantità a discapito della qualità. Trovare la musica bella, quella che ti fa innamorare di sé, è difficile come sempre.
Dopo Beatport e Final Scratch niente sarà come prima. Le pesanti valigie dei dj saranno sostituite da Mac, Pc, Traktor Scratch, Usb key…ed i Technics 1200, fino a 10 anni fa onnipresenti in tutti i club del mondo perderanno a poco a poco la loro importanza, tanto è che la Matsushita (Panasonis e Technics) dopo 30 anni ne cesserà la produzione.
In parte hanno penalizzato un’intera categoria, lasciando spazio alla superficialità, ma questo è un altro discorso. Per anni, quando mi chiedevano che lavoro fai e rispondevo il dj, mi sentivo replicare si, ma oltre questo che lavoro fai? Nell’immaginario collettivo la figura del dj è sempre stata combattuta e contrastata.
Da una parte il fascino di chi ha il potere ed il dovere di far divertire. Dall’altra il pensiero comune che fare il dj non è un lavoro, è un hobby con il quale non si dura fatica. Il dj vero, quello che unisce la passione alla professionalità, passa ore ed ore ad ascoltare la musica. Di tutti i generi, soprattutto quelli nascosti che più lo distinguono, delineandone i connotati artistici.
In pochi si immaginano che dopo più di vent’anni ho ascoltato oltre 1 milione di brani e che non sono sicuramente quello che ne ha ascoltati di più. E che, negli anni futuri, ne ascolterò forse e spero altrettanti. Anche perché prima si suonavano i dischi con i giradischi, oggi le tracce con player e controller. E’ più semplice, economico, veloce.
Giradischi, cdj, controller…non importa quale tecnologia si usa, ma come la si usa. E’ importante trasmettere emozioni, non il modo in cui vengono trasmesse.
Marco Solforetti