Musica e cervello. Cosa accade nella testa dei musicisti?

musica e cervello

Ho scoperto da poco, grazie a questo articolo letto su Linkedin, un sito molto interessante che parla di musica: stereorama.it.  All’interno del Blog c’è una sezione guests in cui Martina Saiu, l’ideatrice, ospita persone con qualcosa di unico da dire sul mondo della musica. Tra queste la dott.ssa Loredana Frau, che spiega in modo chiaro e diretto l’argomento “musica e cervello”, analizzandolo sotto molti punti di vista. L’approccio della dottoressa è di chi vuole fornire delle spiegazioni in modo edotto, facendo chiarezza sui processi che regolano l’attività cerebrale durante l’ascolto. Ringrazio quindi entrambe per questa pubblicazione e vi lascio alla lettura integrale del testo.

Come è nata la musica?
Come il linguaggio, la musica è uno dei fondamenti di ogni civiltà. Jaak Panksepp, neuropsicologo studioso delle emozioni affermò “la musica deriva dalle grida emesse dai primi ominidi quando qualcuno si allontanava dal gruppo”. Nel mondo degli animali queste grida servono a conservare il contatto tra madre e figlio e all’interno del gruppo sociale. Non c’è stata civiltà umana che prima o poi non abbia sviluppato un proprio sistema musicale. La trasformazione dei canti di richiamo in linguaggio musicale, avvenne con la costruzione dei primi strumenti musicali più di 50.000- 60.000 anni fa (percussioni, flauti in osso).

Quando nasce la competenza musicale?
Un feto risponde ai suoni e ai rumori a partire dal secondo trimestre della gravidanza e un neonato è capace di riconoscere la voce della propria madre.
Uno studio del 2010 condotto da Daniela Perani e collaboratori, ha dimostrato il coinvolgimento dell’emisfero destro nell’elaborazione della musica fin dalla nascita e dunque una specializzazione emisferica per i suoni. La risonanza magnetica durante la presentazione di brani di musica occidentale ha analizzato l’attività del cervello dei neonati con 24÷48 ore di vita, quando l’esperienza uditiva alla musica è ancora minima o nulla: la musica di Mozart, Schubert, Chopin, attiva un circuito a livello dell’emisfero destro come negli adulti esposti da tempo alla musica. I risultati indicano anche che i neonati sono sensibili ai cambiamenti di intonazione e ritmo, armonie e dissonanze, variazioni di ritmo, timbro e tempo.

Quali sono i luoghi del cervello, specifici dell’arricchimento musicale?
La musica richiede l’attività di molte parti del cervello e coinvolge sia il pensiero che i sentimenti.
Vi sono coinvolte numerose funzioni cognitive (ad esempio, percezione, memoria, attenzione, linguaggio, etc.) nell’elaborazione musicale, con differenze individuali legate principalmente al livello di esperienza musicale.
A supportare la tesi generale che esistono diverse componenti implicate nell’elaborazione della sola informazione linguistica (componenti fonologica, lessicale-semantico e/o sintattico-grammaticale), è uno studio sperimentale a cui ho contribuito nella costruzione e somministrazione di un set di stimoli verbali per raccogliere/esaminare di persona le risposte dei pazienti. La ricerca è stata condotta presso l’Ospedale San Camillo (IRCCS)- Lido di Venezia con persone afasiche in seguito ad un ictus.
Non posso ancora anticipare i risultati perché verranno discussi per la prima volta al 52nd Annual Meeting of the Academy of Aphasia il prossimo cinque Ottobre a Miami.
I soggetti in seguito ad una lesione alle fibre del fascicolo arcuato riportano un disturbo specifico del linguaggio, chiamato Afasia di Conduzione o di Ripetizione (deficit di tipo fonologico). Malgrado siano in grado di udire e comprendere il linguaggio, di leggere o di parlare spontaneamente seppur con qualche difficoltà di articolazione, se si chiede a loro di ripetere le parole, non ne sono capaci.
Vi riporto tre esempi che chiariscono tale compromissione, nel caso in cui dovessi invitare il paziente afasico a ripetere una parola.
Istruzione: “telefono”. Risposta: “tete tete tellolo no pronto”;
Istruzione: “ombrello”. Risposta: “om…ro po l’acqua”.
Istruzione: “D’inverno cade la neve”. Risposta: “an de freddo la la bianca la no cade la nevi..”.
Risulta dunque chiaro che in seguito ad una specifica lesione cerebrale, le persone possono riportare alterazioni di una e/o più componenti linguistiche (spesso accompagnate anche ad altre tipologie di disturbi come quelli della scrittura, del calcolo, della lettura, etc).
Divagazioni a parte, come è noto il nostro cervello è formato da due emisferi. Entrambi sono coinvolti nei molteplici aspetti della musica. Basti pensare alla capacità di percepire l’altezza dei suoni o il ritmo, comporre o leggere gli spartiti, ricordare, riprodurre e rievocare le note, interpretare le parole, attivare le emozioni, suonare gli strumenti fino alla creatività ed espressività musicale.
A livello generale si può dire che nell’emisfero sinistro esistono regioni specializzate nella comprensione uditiva delle parole e nella produzione verbale. L’emisfero destro viceversa codificherebbe prevalentemente materiale visuo-spaziale (componenti percettive prive di significato simbolico come luce, suoni e melodie).

emisferi CERVELLO LOREDANA FRAU

Quali benefici nei musicisti?
Numerosi studi sul funzionamento del cervello dei musicisti provano che la continua esposizione alla stimolazione musicale è in grado di influenzare l’organizzazione funzionale e anatomica di alcune strutture cerebrali. E’ stato dimostrato che nel cervello dei musicisti ci sarebbe infatti una comunicazione maggiore tra i due emisferi e incrementi del volume della sostanza grigia dovuti a una maggiore connettività (sviluppo di dendriti e sinapsi tra i neuroni) a livello delle aree uditive e motorie. Inoltre nel musicista di lunga data, l’udito si adatterebbe all’universo dei suoni, sviluppando una maggiore resistenza al decadimento fisico, rispetto a quanto invece accade in chi ha avuto pochi o sporadici approcci con la musica. Un allenamento intensivo in tarda età è stata associata ad una migliore capacità di decodificare i discorsi da parte degli anziani, e di conseguenza la loro capacità di comunicare in ambienti complessi e rumorosi. Scienziati dell’Università di Liverpool hanno scoperto che anche una breve formazione musicale può far aumentare il flusso del sangue nell’emisfero sinistro del nostro cervello.
Adesso vi voglio proporre un QUESITO: ascoltando due musicisti jazz durante una jam session non vi è mai capitato di avere la sensazione di assistere ad un vero e proprio dialogo dove le note ricamano frasi perfettamente cucite una dietro l’altra? Un caso?!? In uno studio furono sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI) alcuni musicisti jazz impegnati nel trading fours, l’esecuzione a turno di brevi assoli (generalmente quattro battute) come un botta e risposta. I risultati evidenziano che durante l’attività di improvvisazione musicale verrebbero attivate le stesse aree cerebrali del linguaggio parlato.

Perché ci sentiamo cosi coinvolti durante l’ascolto di un brano musicale?
Cosi come quando un cucciolo sente la voce della madre, i suoi peli si rizzano e lo riscaldano anche noi abbiamo avuto esperienza dei brividi di piacere suscitati dalla musica. Da un punto di vista cerebrale, la musica attiva il sistema limbico e mesolimbico legati a processi di auto gratificazione e ricerca del piacere; gli stessi vengono coinvolti quando si prova eccitazione sessuale o si assumono droghe.

Cosa succede quando ascoltiamo un genere musicale?
Si riconosce l’attivazione di schemi neuronali creati in base alla nostra esperienza e cultura d’origine. Se fossimo nati in Tanzania, probabilmente non ascolteremo metal, ciò non perché i Masai siano refrattario al metal, ma perché la loro grammatica musicale sviluppata dalla loro cultura non decodificherebbe quella matallica, cosi come noi, avremmo difficoltà a misurarci con le loro musiche (ho provato su youtube ad ascoltare la loro musica= CONVULSIONI!), Questo perché il nostro cervello cercherà di ricondurci a ciò che abbiamo appreso dalla nostra cultura. Tuttavia secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports, ascoltando Bach o i Beatles, generi musicali che differiscono per molte caratteristiche melodiche, ritmiche e armoniche, la risposta del nostro cervello non cambia. Inoltre durante l’ascolto della musica preferita, si è osservata una maggior attivazione dell’ippocampo, deputato a rievocare esperienze emotive e pensieri consolidati (Wilkins & coll., 2014).

musica e cervello

Geni musicali: i casi di Beethoven e di Blind Tom.
Spiegare come nasce un genio non è affare da poco. L’ipotesi oggi più accreditata è che il genio sia la vincente combinazione di fattori genetici, studio, disciplina, ambiente culturale favorevole, e istruzione di altissimo livello. Allora come è possibile comporre sinfonie senza sentire le note o suonare un piano con un limitato quoziente intellettivo?
A tal proposito vi racconto brevemente la storia di due geniacci musicali un pò sfigatelli che sono la prova evidente di come sia possibile sviluppare un cervello musicale, a prescindere dal restante funzionamento cognitivo. Tutti sanno più o meno che la maggior parte delle opere di Beethoven come il celebre Inno alla gioia, furono composte quando era completamente sordo. Si dice che Beethoven tagliò le gambe del suo pianoforte, in modo tale che la tastiera del piano toccasse terra, e lui, mettendo l’orecchio sul pavimento, riuscisse a sentire le vibrazioni delle note. Questo poteva funzionare quando l’udito non era ancora perso, ma, in piena sordità ogni metodo era inutile. Per la cronaca, una persona che nasce sorda non può sapere cosa sia l’esperienza del suono ma se diventa sorda e ha una mente che è intonata da un punto di vista armonico e ha un orecchio interno che gli fa sentire ciò che legge o che scrive nell’invenzione musicale, allora un sordo non potrà suonare ma potrà comporre. Il grande compositore “ha ricominciato a seguire la musica che aveva dentro”. Ecco cos’era per Beethoven la musica: pura astrazione.
La seconda storia riguarda Thomas Green Bethune (1849-1909), meglio conosciuto come “Blind Tom”. Si tratta di un giovane schiavo cieco che si esibì nel mondo intero. Fino all’età di cinque anni non parlava, né manifestava altro segno di intelligenza se non interesse per la musica che sentiva suonare. Dall’età di quattro anni inizia a suonare le composizioni di Mozart e Beethoven, ad improvvisare senza saper leggere la musica e a distinguersi per la straordinaria capacità di memorizzare dopo un solo ascolto.
Il suo lessico contava meno di cento parole, ma il suo repertorio musicale era di oltre 7000 brani. Tom nei giorni nostri sarebbe considerato un bambino autistico destinato al Nobel.
Esistono patologie legate all’incapacità di comprendere ed eseguire la musica?
L’amusia è una patologia neurologica che descrive tale incapacità. Non è un problema dell’udito. Chi soffre di amusia riesce a sentire i suoni ma non riesce a distinguere una melodia da un’altra, a cantare in maniera intonata o a capire lo stato d’animo di chi parla. Gli amusici non riescono nemmeno a distinguere una cantilena da un inno nazionale o da una sinfonia di Mozart. Si dice che Che Guevara, presunto amusico, non sapesse distinguere tra di loro nessun genere musicale, tanto da ballare in un’occasione speciale, un tango anziché una samba, lasciando di stucco gli spettatori. Al contrario i soggetti affetti dalla sindrome di Williams che presentano un apparato udito molto sensibile, manifestano una buona memoria uditiva e un notevole interesse nella musica, che si manifesta con una straordinaria abilità musicale; apprendono con estrema facilità le canzoni.

La musica può essere usata come terapia nel trattamento di alcune patologie?
Si parla del famoso “effetto Mozart” per descrivere la musica come un ottimo strumento in grado di modificare positivamente lo stato emotivo , fisico e mentale. L’ausilio della musica (e ancora di più la musicoterapia) essendo in grado di modulare le emozioni e il livello di eccitazione di un individuo, contribuisce anche in modo clinico non solo come modulatore dello stress e d’umore in sindromi d’ansia e depressione ma anche come forma di terapia nel trattamento di disturbi comunicativi, quali autismo o handicap conseguenti alla sordità, e nei disordini del movimento come il Morbo di Parkinson.

Loredana Frau

Martina Saiu

Fonte: http://www.stereorama.it/2014/09/evidenze-sperimentali-musica-e-cervello.html

 

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