Sloboda ascoltare chi ascolta

Esiste un’attitudine musicale nascosta all’interno di ogni ascoltatore

Sempre più spesso si guarda alla musica come a qualcosa che viene somministrato a “consumatori” o a “pazienti” da una vasta gamma di professionisti: compositori, discografici, artisti e terapisti.

Fino a 50 anni fa circa, la gente aveva un rapporto con la musica più intimo, sviluppato mediante attività di gruppo come la danza, il canto corale e la tradizione orale. È pensabile che quanto avviene oggi, specie nelle nazioni più avanzate, sia il frutto della perdita di questo collegamento naturale con il mondo della musica. È ben più facile circondarsi di musica riprodotta di alta qualità attivabile con un pulsante che non suonare o cantare senza intermediari.

Abbiamo perso la fiducia nella propria capacità di giudizio e nelle proprie intuizioni

La studio scientifico della musica è ormai sufficientemente maturo per permettersi di correre qualche rischio e allargare i propri confini: è tempo di occuparci di come essa influisca sulla nostra esperienza.

Non si può pensare che la musica raggiunga precisi effetti psicologici se non considerando la personalità dell’ascoltatore in tutta la sua interezza storica e caratteriale, e le circostanze dell’ascolto.

Gli studiosi sperimentali favoriscono il modello riduzionistico

Purtroppo essi sono spesso poco esperti in composizione o interpretazione e, come la maggior parte della gente, ragionano da consumatori e non da artefici.

A titolo di esempio immaginiamo due scene:

  • nella prima il soggetto siede in mezzo a tecnici in camice, circondato da fili e strumenti, sente due serie di suoni e giudica se siano uguali o no. Tutto sommato si trova scomodo e annoiato;
  • nella seconda una madre assiste in platea al saggio della sua bambina di sei anni. È totalmente presa dall’evento e dall’orgoglio mentre la figlioletta traversa il mare del canone di Pachelbel.

I risultati di uno studio da laboratorio direbbero ben poco

Se anche le stesse sequenze di note fossero usate nelle due scene descritte, è chiara la difficoltà di collegare un dato stimolo musicale a un dato effetto psicologico. La musica è una creazione della cultura umana in costante evoluzione e le forme della sua manifestazione sono variabili.

La musica è ciò che noi decidiamo che sia

Un brano di musica sacra può divenire sottofondo per il lavoro o per lo studio; il rapporto tra stimolo ed effetto non è scientificamente prevedibile.

Non bisogna però passare all’eccesso opposto di considerare la musica come talmente ineffabile e complessa al punto da esorbitare dal campo della scienza. Sarebbe invece bene che la ricerca si orientasse sui fondamenti che seguono:

  • sperimentare sul campo e non in laboratorio
  • variare il contesto dal luogo pubblico pieno di altri suoni alla sala da concerto
  • studiare la natura delle scelte musicali dell’individuo
  • usare un protocollo che includa osservazione, campionatura e successive interviste per estrarre il dato personale e sociale dell’ascoltatore
  • utilizzare musica vera, in brani completi e non ridotta a stimoli spezzettati
  • esaminare dinamicamente nel tempo lo svolgersi degli stimoli piuttosto che tentare di afferrare gli indefiniti effetti della totalità dell’ascolto.

Conclusione

Gli studi attualmente in corso stanno dando buoni frutti e dimostrano quanto può fare una ricerca che prenda sul serio sia l’ascoltatore con la sua personalità che il contesto. Si sta dimostrando che vi è un’attitudine musicale nascosta all’interno dell’ascoltatore, che gli permette di farsi una rappresentazione interna della musica ascoltata. Che gli permette di cogliere le sottigliezze delle risposte emotive legate alla situazione concreta dell’ascolto. Questa capacità, anche se non allenata e quanto mai diversa da persona a persona, forma il nocciolo di quanto stiamo studiando.

È quindi l’esperienza nella sua totalità e normalità quotidiana che sta dimostrando che la musica non è né un insondabile mistero né un complesso di vitamine in pillole. Essa è una costruzione dell’essere umano che lo stesso può usare coscientemente e abilmente per una varietà di scopi cognitivi ed emotivi, che vanno dal mondano alla ricerca interiore.

Fonte: Nature

John Sloboda, Docente di Psicologia, Institute of Law, Politics and Justice, Keele University, Staffordshire

Marco Solforetti

 

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