Suoni, parole, bambini

Music Learning Theory

La Music Learning Theory è la teoria ideata da Edwin E. Gordon (South Carolina University, USA) e fondata su oltre 50 anni di ricerche ed osservazioni.

Descrive la modalità di apprendimento musicale del bambino a partire dall’età neonatale e si fonda sul presupposto che la musica si possa apprendere secondo processi analoghi a quelli con cui si apprende il linguaggio.

La capacità di Audiation (concetto sul quale si basa tale teoria), si sviluppa a partire dall’età neonatale a contatto con un ambiente ricco esperienze musicali di qualità. Durante i primi anni di vita l’approccio indicato dalla MLT  è quello della guida informale.
L’adulto, competente musicalmente, guida informalmente il bambino all’apprendimento musicale, attraverso l’esempio diretto, il gioco e il movimento.

I suoni stabiliscono una relazione fra coloro che li emettono e coloro che li ascoltano

Da zero a tre anni il nostro cervello organizza la maggior parte degli stimoli che provengono dall’ambiente esterno e lo fa utilizzando i suoni. Di conseguenza i bambini imparano prima a parlare e dopo a scrivere. Ma come avviene questo apprendimento?

L’apprendimento informale

Graham Schafer, dell’Università di Reading in Gran Bretagna, ha scoperto che l’apprendimento informale, ossia quello lontano dai banchi di scuola e che si verifica durante i primi anni di vita, è determinante per lo sviluppo mentale del bambino (Schafer G., 2005).

Studi precedenti avevano evidenziato che i bambini erano in grado di imparare solo quelle parole con le quali, in qualche modo, avevano concretamente a che fare, come: palla, tavolo, giocattolo, etc.

Studio di Schafer

Nell’indagine di Schafer, 52 genitori di bambini di nove mesi hanno giocato con loro, per almeno dieci minuti al giorno, quattro volte la settimana. I genitori hanno utilizzato 48 immagini (sedie, pesci, frutta, etc.) raffigurate in 12 libri illustrati.
Il gioco avveniva dando un nome agli oggetti, indicandoli anche con il dito, disponendoli poi secondo un ordine.

L’esperimento, durato tre mesi, ha rivelato che i bambini, i quali nel frattempo avevano compiuto un anno e con i quali i genitori avevano giocato, mostravano segni di riconoscimento degli oggetti, rispetto ad un gruppo che non aveva giocato con i genitori.

La conclusione dei ricercatori è che le parole vengono apprese anche quando non si riferiscono ad un contesto preciso e concreto, perché vengono ugualmente apprese in virtù del riferimento sonoro al quale vengono associate.

Giocare con i suoni

Ai bambini come agli adulti piace giocare con i suoni e le figure. Basti pensare alla televisione, al cinema e ad internet. Proprio in tenerissima età si impara ad accostare immagini a suoni, sviluppando un apparato mentale che si definisce sistema telemetrico. Questo sistema funziona grazie all’azione contemporanea della vista e dell’udito. Esso ci permette di localizzare, in uno spazio e tempo precisi, qualsiasi oggetto-situazione e di stabilire la nostra posizione rispetto ad esso.

Al di sotto del primo anno (e fino a circa tre anni) se diciamo ad un bambino: “Andiamo a tavola, è pronto!” egli non riesce a comprendere precisamente il significato di una comunicazione così complessa.

In primis perché il verbo andare è di per sé irregolare. In questo caso inoltre è al plurale, anche se indica una esortazione singolare e rivolta al figlio. Ulteriore difficoltà è costituita dal fatto che non è facile capire che cosa significhi “andare a tavola”, ossia recarsi vicino ad un oggetto e compiere un insieme di azioni complesse utili alla nutrizione.

Ritmo, accento, pronuncia

Cosa comprende allora il bambino? Associa il ritmo, l’andamento degli accenti nella frase, la velocità della pronuncia. Comprende i suoni del parlato che diventano musica.

Ancora prima di qualsiasi significato espresso con la voce, i bambini imparano a capire l’umore delle persone dai suoni emessi. Esistono infatti suoni duri, aspri, rigidi ed altri morbidi, melodiosi e flessibili. Inoltre, impara a riconoscere il timbro della voce materna e delle persone a lui più vicine, distinto dalle altre.

Comincia persino a capire in quale modo dovrà parlare al babbo per ottenere quel giocattolo che tanto lo diverte. Senza saperlo, ognuno di noi “fa musica” fin dalla nascita (per essere ancora più precisi fin dallo sviluppo intra-uterino dell’organi dell’udito), perché frequenta costantemente il mondo dei suoni.
Un paesaggio sonoro, con il quale, e per tutta la vita, stabiliremo un affettuoso rapporto.

Suoni, parole, bambini

Siamo tutti musicisti

Siamo tutti un po’ compositori di musica ed immagini, perché cresciamo in un mondo sonante ed immaginario. Peccato che dopo anni di teorie, studi e certezze, si continui ancora a credere che solo alcuni di noi potranno diventare musicisti.

A dimostrazione di questa frase, esistono diversi studi, ma uno in particolare può vantare di 50 anni di esperimenti.

Marco Solforetti

articolo originale detournato di: Alessandro Bertirotti

http://www.psicolab.net/2006/suoni-parole-e-bambini/

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