Il vino e la musica, le origini

Nel 1996 una missione archeologica americana, ha scoperto in un villaggio della parte settentrionale dell’Iran, una giara di terracotta contenente una sostanza secca proveniente da grappoli d’uva. La notizia tratta dal Corriere Scienza del 2002 aggiunge che i reperti rinvenuti risalgono a 7000 anni fa.

In alcune civiltà il suo impiego in ambito religioso e culturale era in primo piano. Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale. Studi recenti tendono ad associare i primi degustatori di tale bevanda già al neolitico.

I primi maestri della produzione vitivinicola furono gli Egizi, i quali descrissero le varie fasi della lavorazione. Una pittura di una tomba tebana della XVII dinastia (1552-1306) rappresenta due contadini che raccolgono grappoli d’uva da un pergolato e testimonia che già nel secondo millennio avanti Cristo si utilizzava la coltivazione a pergola.
Furono poi i Fenici e i Greci a diffondere la bevanda e le tecniche di produzione nei Paesi europei.

Il vino prodotto a quei tempi era molto differente dalla bevanda che conosciamo oggi, risultava essere una sostanza sciropposa, molto dolce e molto alcolica. Era quindi necessario allungarlo con acqua e aggiungere miele e spezie per ottenere un sapore più gradevole.

Sempre per merito degli studi di archeologia compiuti a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si può affermare che vino e gastronomia costituissero un binomio che diventava spesso trinomio con l’aggiunta del supporto musicale, in funzione delle cerimonie religiose che seguivano o precedevano gli appuntamenti conviviali dell’antichità.

Un altro aspetto è quello della funzione stessa dell’espressione musicale applicata alle cerimonie del vino, più che in senso scenografico, proprio in senso di anello di congiunzione tra Bacco-Dioniso-Fufluns (Fufluns è il corrispettivo etrusco del greco Dioniso, e poi del romano Bacco).

I Greci, popolo che tanto regalò alla teoria musicale e al legame Musica-Filosofia-Matematica, nelle locande mescevano nettare accompagnando il tutto con musica rigorosamente strumentale, considerandola “di sottofondo“. Di sottofondo in quanto la musica cantata aveva una funzione didascalica, tale da essere concepita solo nella storia del grande teatro greco.

Lo strumento associato a questa dimensione magico  fu l’aulos. Era uno strumento a fiato ad ancia, sacro al culto di Dioniso, dio del vino, dell’ebbrezza e dell’incantamento. Una striscia di cuoio girava intorno al capo dell’esecutore, aiutandolo a fermare, tra le labbra, le imboccature dell’aulos doppio, il diaulos, strumento più diffuso dell’aulos semplice.

Vino e Musica

Un altro strumento in Grecia fu la cetra, utilizzato generalmente per accompagnare i racconti delle leggende degli dei e degli eroi. La lira o cetra era ritenuta sacra al culto di Apollo. Il dio della bellezza simboleggiava una diversa idea della musica, molto più razionale di quella associata al dio Dioniso. Era formata da una cassa di risonanza dalle cui estremità salivano due bracci collegati da un giogo.

C’è un mito che dimostra la superiorità che acquistò, per i greci, la poesia accompagnata dalla cetra. Si tratta del mito di Atena, dea della sapienza, la quale gettò via l’aulos perché la costringeva a contorcere il viso per suonare, scegliendo la cetra.
C’è, quindi, quest’idea della superiorità della musica razionale rispetto a quella irrazionale.
Vengono riconosciute entrambe le dimensioni e associate una ad Apollo e l’altra a Dioniso.

Alcuni secoli più tardi, Nietzsche scriverà:

“Dio ci ha dato la musica in primo luogo per indirizzarci verso l’alto. La musica raduna in sè tutte le virtù, sa essere nobile e scherzosa, sa rallegrarci ed ammansire l’animo più rozzo con la dolcezza delle sue note melanconiche, ma il suo compito principale è guidare i nostri pensieri verso l’alto, così da elevarci, da toccarci nei profondo”.

Verso la fine del periodo arcaico (VI sec a.C.) cominciò a svilupparsi una lirica monodica, organizzata in brevi strofe, affidata ad una voce sola ed eseguita in contesti conviviali. Si diede importanza alla dimensione collettiva della vita civile, si sviluppò una produzione di musica corale, affidata ad eventi celebrativi pubblici sia religiosi che laici. Forme della lirica corale furono: il peana in onore di Apollo, il ditirambo in onore di Dioniso. Nella lirica corale si realizza pienamente l’unione delle tre arti della Mousikè. Con il termine mousiké si intendeva l’insieme delle arti presiedute dalle Muse. Questo comprendeva la poesia, la letteratura, la musica, il teatro, il canto, la danza. In quasi tutte le civiltà appare evidente la presenza di un filo conduttore tra musica, recitazione, danza, trascendentalità e canto; anzi sembra che la musica nasca inizialmente come canto, espressione del più antico e noto strumento musicale.

Nella ricostruzione di civiltà precristiane, certi suoni ben precisi di alcuni strumenti musicali, legati al banchettare favorivano il risveglio della creatività artistica e della elevazione spirituale, quasi uno stato estatico. Gli antichi dunque erano coscienti dei diversi poteri dei suoni, capaci di influenzare le emozioni, incitare, addolcire ed addirittura incantare.

La musica poteva educare il comportamento umano, funzionando così da strumento terapeutico quotidiano.

Il vino e la musica, quindi, accompagnavano sempre i banchetti degli antichi, regolati da momenti diversi ove il Simposio era il culmine. l simposio era il convegno dei cittadini maschi adulti al banchetto e agli intrattenimenti. Durante il simposio si cantavano canti conviviali, fra i quali ve n’erano di contenuto patriottico e politico; si recitavano poesie di poeti celebri o di composizione propria; si assisteva a spettacoli di varietà, come danze, acrobazie, quadri plastici; si conversava su argomenti che destassero l’interesse generale; l’argomento e il tono di tale conversazione dipendevano, naturalmente, così dai gusti come dalla cultura di tutti i commensali.

l banchetto si teneva in un’ala separata della casa, nella quale non era consentito l’accesso alle donne sposate e ai bambini. Il simposio e il banchetto, alla maniera greca, conobbero un’immensa fortuna nella società etrusca, che li assimilò e li fece propri, adattandoli alla diversa sensibilità sociale e spirituale. Donne e mogli vi erano tranquillamente ammesse, anche a condividere la klìne dei maschi (il letto). Veniva fatto girare un recipiente di vino non diluito in modo che ciascuno potesse riempire la propria coppa e berne per poi offrire una libagione a Dioniso, accompagnata dall’invocazione del suo nome. A questo punto si cantava un inno al dio il peana, una forma lirica greca,dedicata alla celebrazione del culto di Apollo e Artemide.

Vi erano giovani donne, appositamente convocate, che suonavano l’aulòs e danzavano. Le etere, le uniche donne ammesse al simposio. Oltre all’ aulos si suonava la lira,  o spesso la cetra; più raramente il crotalo e piccoli tamburi.

Per i Greci il vino era il dono di Dioniso, divinità giunta da remote terre asiatiche, ed era l’essenza stessa della civiltà; l’ebbrezza che esso causava era vista come una compensazione degli affanni della vita, a patto di farne un uso giudizioso. I Greci, infatti, bevevano raramente vino puro e avevano piena coscienza dei rischi che comportava un uso smodato.

continua…
Marco Solforetti

 

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