il vino e la musica nell'antica roma

Il vino e la musica hanno assunto nel corso delle diverse epoche della civiltà umana funzioni differenti.
Molto tempo fa il significato del vino era sicuramente legato a mondi e concezioni di cui gradatamente si è persa traccia.

Sempre per merito degli studi di archeologia compiuti a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si può affermare che vino e gastronomia costituissero un binomio che diventava spesso trinomio con l’aggiunta del supporto musicale, in funzione delle cerimonie religiose che seguivano o precedevano gli appuntamenti conviviali dell’antichità.

Un altro aspetto è quello della funzione stessa dell’espressione musicale applicata alle cerimonie del vino, più che in senso scenografico, proprio in senso di anello di congiunzione tra Bacco-Dioniso-Fufluns (Fufluns è il corrispettivo etrusco del greco Dioniso, e poi del romano Bacco).

Sotto l’Impero romano ci fu un’ulteriore impulso alla produzione del vino, che passò dall’essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. I Romani cominciarono a utilizzare botti di legno, sostituendo i vasi in terracotta usati in precedenza, e introdussero tecniche di imbottigliamento. In molte raffigurazioni antiche sono rappresentati servi che filtrano il vino in appositi utensili.

La musica rivestì un ruolo importante nella vita culturale e sociale di Roma.

Ebbe per lo più un carattere popolare anche se si distingueva tra una musica di consumo e una più colta, considerata quasi un distintivo sociale per le classi più elevate. Almeno inizialmente non rivestì un ruolo così importante nell’educazione del cittadino come in Grecia dove, al contrario, si pensava potesse influire in senso positivo o negativo sul comportamento morale degli uomini e sui loro costumi.

Nel corso dei secoli la musica conquistò progressivamente sempre più spazio, facendo da sottofondo a vari momenti della vita quotidiana. C’era musica nelle cerimonie religiose, nei trionfi, negli spettacoli come la pantomima e i ludi gladiatori, nei cortei che precedevano questi ultimi e i giochi circensi ma anche nelle varie rappresentazioni teatrali, nella danza, nella poesia, nelle feste private, nei banchetti, nella caccia, nei funerali e nelle battaglie.

Come nei greci, ma in modo decisamente più sfrenato, il vino e la musica prendono vita durante il rito. Più in particolare durante i baccanali.

La rappresentazione del vino più ricorrente nell’iconologia romana è quella di un calice in mano al dio Bacco, il dio del vino e dei misteri. Analogamente al culto di Dioniso in Grecia, si trattava di un culto misterico che si diffuse nell’antica Roma, all’inizio del sec. II a. C. Le sacerdotesse del dio bevevano vino e mangiavano foglie di edera, cui era attribuita la proprietà di ispirare frenesia, abbandonandosi discinte e urlanti a danze primordiali.

I seguaci del culto di Bacco vennero in scontro con la religione ufficiale di Roma in seguito al loro rifiuto di riconoscere i valori cultuali di questa, al punto che nel 186 a.C. il Senato, dietro iniziativa di Marco Porcio Catone, emise un senatoconsulto, noto come Senatus consultum de Bacchanalibus al fine di sciogliere il culto con distruzione dei templi, confisca dei beni, arresto dei capi e persecuzione degli adepti.

Abbandonato l’impero romano c’è un lungo periodo di oblio: il vino e la musica li troveremo nei canti goliardici raccolti nei “Carmina Burana” composti nel 1300 c.a., nel convento benedettino di Benedektbeuren.

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